Ad Alta Voce

Quando si presenta il presente

Finora non abbiamo avuto tanto tempo per prenderci un po’ di tempo, per noi e soprattutto per gli altri. Ma come tutti i treni in corsa, i missili e le astronavi, ad un certo punto dobbiamo arrivare da qualche parte o fermarci per orbitare o sostare durante un viaggio che spesso ci appare ignoto, misterioso e senza segnaletica.

 

Un racconto africano parlava di gente in viaggio che ad un certo punto si ferma… Alcuni pensano che sia per la stanchezza, ma uno di loro risponde dicendo che hanno viaggiato troppo forte, lasciando indietro la propria anima ed ora si sono fermati ad aspettarla.

 

È un po’ quello che sta accadendo in questi giorni dopo le varie frenesie che ci sono imposte o che molto fantasiosamente ci inventiamo da soli per ‘seminare’ qualche scomodo senso di colpa.

 

Da giorni, si ha come l’impressione che qualcuno abbia tirato il freno a mano inchiodandoci all’asfalto. Ad alcuni fortunati però sta capitando di fare un testacoda per ritrovarsi a guardare in faccia la strada fatta.

 

Dopo ‘paura’, ‘noia’ è il termine che sta ricorrendo molto in questo tempo.

La noia che alcune persone iperattive non riescono a sopportare,

la paranoia nei confronti del proprio stato e del proprio ego,

e nei casi più fortunati la metanoia cioè quella capriola che ci riporta a riaprire gli occhi su ciò che conta veramente e su ciò che è veramente sensato nella nostra vita: la dimensione spirituale, celeste, divina, eterna, ma anche la dimensione carnale intesa come carne che sta fuori dalla nostra carne.

 

Tutte le cose che facciamo ogni giorno sembrano importanti finché siamo ossessionati solo da quelle. Quando siamo costretti a guardare occhi, bocche, nasi, corpi e ad ascoltare ciò che dicono, le cose cambiano. Le prospettive mutano come l’obiettivo di una macchina da presa. I campi si allargano o si restringono, lo zoom va fino dentro a ciò che c’è nell’altro, nelle nostre mogli, nei nostri mariti, nei nostri figli, nei nostri genitori, nei nostri fratelli. Lo specchio dei nostri affetti ci restituisce l’immagine autentica di noi stessi.

 

Una malattia o l’incombere di un disagio diventano l’occasione per capire che cosa significhi guarire.

 

Una ferita è finestra.
Una paralisi è slancio.
Una cecità è come vista d’aquila.

 

Comprendo che sono parole forti, pungenti come un letto di chiodi,

parole che interrogano e non le solite parole che esclamano, ma siamo fatti così e non dobbiamo fare finta di niente, quando abbiamo dei momenti nella vita che ci rimettono in mano il manuale d’istruzione togliendoci quello di distruzione.

 

Sta arrivando il momento di costruire. Anzi è già arrivato, non sprechiamolo!

 

Minuti Veri

“Non sono uno che pretende di toccare il cielo, ma almeno di vederlo”.
Masticavo questa mia frase annoiata, qualche claustrofobica settimana fa.

Oggi ho rivisto il cielo. Era lì, al solito posto, ma il suo tempo era diverso.

Camminando, anzi passeggiando, anzi contemplando in movimento e pregando, ho iniziato a lodare il Signore per quella meraviglia che noi creature siamo riusciti a ricoprire di banalità, di scontato.
Trovandomi avvolto di bellezza, dovevo riprendere contatto con ciò che ormai siamo abituati a definire “realtà”, ossia ho sentito la necessità di guardare l’ora nel telefonino.

Di fronte all’immensità del cielo e alla sua dimensione pressoché eterna, dovevo misurare il tempo.
Dovevo usare uno strumento umano, per non cadere in balia dell’incommensurabile divino. “Toh, le 10.00?!”.

Continuando a camminare e a commuovermi semplicemente per aver visto cielo, scie di aerei intrecciate, alberi, erbe, pervinche, margherite abbracciate a ranuncoli, ghiaia, galline, terra, cani, lucertole scottate di verde, sentivo il bisogno di guardare ancora l’ora, pronto a dover tornare indietro per fare altre cose.
Ci congediamo sempre dall’Infinito per sguazzare entro le nostre “rassicuranti” categorie umane.
Salutiamo Dio per raggiungere l’idolo del Buon Senso.

Nonostante tutto, dopo mille anni erano soltanto le 10.10, dopo altri mille le 10.20. Le 10.38 dopo un’era geologica.

Oggi ho capito cosa sono i “minuti veri”: non sono offerte speciali delle compagnie telefoniche, non sono quelli che scorrono parlando al cellulare (o con il cellulare?), ma sono quei minuti in cui sei vero, guardando un cielo vero, facendo cose vere.

 

Nessuno può venderci minuti veri perché, come sempre,
è Dio che ce li regala per parlare con Lui.

Anche se molti ci provano, nessuno può venderci tempo libero,
perché il tempo è libero di per sé.